Che squadra, ragazzi!
Anzi, che ciurma!
Gessica ed io, i più imbranati del gruppo, abbiamo provato sul campo che cosa ci aveva detto Luigi all’inizio degli incontri: cioè che non c’è teoria che tenga fino a quando non sali sulla barca e cominci a usare qualche corda, pardon!, qualche cima.
Emozionati come ragazzini alla gita scolastica si parte presto da casa in quel di Castelnovo Sotto con un nebbione fetente che, però, non ci scoraggia minimamente e, al contrario, ci fa ben sperare sul clima che, in effetti, troveremo al Golfo di La Spezia.
Milena e Alberto, con Luigi a bordo, ci aspettano fuori dal casello di La Spezia per accompagnarci verso Porto Lotti. La prima impressione è inaspettata e sconcertante:
dopo il caos del traffico cittadino il silenzio quasi religioso del porto ci incute un sacro rispetto e la vaga sensazione di stare per inoltrarci in un terreno inesplorato.
Bruno e Giuseppe sono arrivati la sera prima e ci aspettano al varco, impazienti di salpare l’ancora. La prima impressione da “terricoli” è:”…ma ci staremo tutti lì dentro?”
Ci è sembrato incredibile come in così poco spazio siano concentrati tutti gli accessori necessari per dormire, mangiare ed altre funzioni corporali… Dopo le spiegazioni di rito sulla sicurezza e l’uso della radio, si parte. E allora: ”Chiudere gli osteriggi!”, “Addugliare le cime!”, “Diamo una mano di terzaroli!” con queste frasi oscure è iniziata la nostra avventura a bordo del SO 343 e anche le poche nozioni che avevamo imparato a memoria dal manuale sono scomparse come la nebbia sulla Cisa prima di Fornovo. Ma andiamo con ordine! Grande emozione, voglia di far bene e di non sfigurare con gli altri del gruppo più esperti di noi, una buona dose di ansia e tutto sembra inesplicabile: qual è la scotta della randa, e la drizza, l’amantiglio?
Apri lo stopper, chiudi lo stopper, randa al centro, svolgi il fiocco, è tutto un susseguirsi di ordini ed azioni che ci prendono alla sprovvista e, inevitabilmente, aumentano il livello di confusione in testa, che già era alto. Cerchiamo disperatamente un po’ di vento tra la Palmaria e il canale di Portovenere, provando persino a soffiare contro la randa! Si leva una debole brezza che rallegra gli animi, mentre il mare è inesorabilmente piatto.
Tutto sommato, pensiamo Gessica ed io, come battesimo può andare anche bene!
La prima a prendere il timone in mano è Gessica che, titubante, inizia a zigzagare senza riuscire a tenere la rotta confondendo le mura, orzare e poggiare. Quando viene il mio turno sento la barca andare dove le pare e non becco un’andatura nemmeno se me lo dicono; in compenso mi devono dire ben tre volte quando è il momento di allascare il fiocco.
Calma! Tutta questa agitazione è ingiustificata, soprattutto alla luce della serenità che Luigi ci infonde e della pazienza dei compagni di regata più esperti di noi.
Preso un grammo in più di dimestichezza si accenna una bolina larga che, mano a mano che si prosegue verso Portovenere diventa più stretta : ebbene sì, sembra di volare, anche se saranno sì e no cinque nodi.
Ma tanto basta per provare un’emozione che quasi ti stordisce: la percezione che sia il vento a spingerti non è tra quelle catalogate nella mia mente. Comunque, tra i bonari rimproveri di Luigi, il compatimento divertito dei compagni e la nostalgia per la gelataia della Capraia la giornata passa in scioltezza, con una pausa pranzo legati al gavitello, che, di primo acchito pensavamo fosse una specialità culinaria di Portovenere. La sera, cena a Lerici, con un menù spettacolare a base di pesce: squisito!
Il giorno dopo, stessa storia: caldo, con una leggera velatura, si esce presto con la speranza che il vento ci grazi e cominci a fare il suo mestiere.
Invece, niente; tant’è che a pranzo siamo alla deriva oltre la Palmaria in balia di un’onda lunga e fastidiosa che mette in subbuglio lo stomaco di più d’uno dell’equipaggio. Ma corpo e spirito si riprendono al levar del vento che allegramente ci permette di trascorrere un pomeriggio di scorribande lungo il canale di Portovenere.
Inutile dire che alla fine della giornata si è stanchi ma felici; molto più utile ricordare ciò che ci disse all’inizio del corso di teoria il buon Luigi: “La vela è una malattia inguaribile ed io sono malato.” Temo che anche Gessica ed io siamo stati contagiati.
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