Che ridere, ragazzi!
Anzi, che spasso! Cosa possono fare cinque persone appassionate di vela su una barca in piena bonaccia? Cercano di divertirsi lo stesso! E così abbiamo fatto anche noi. Noi chi? Ma i temerari navigatori del freddo (che, poi, tanto freddo non è) che, solitari, si inoltrano per le acque gelide del Golfo di La Spezia alla ricerca del vento perduto: Nicola, Marco, io, Gessica e lo skipper-istruttore Luigi che, tra un aneddoto su Caprera e l’altro, non ha perso occasione per darci preziose informazioni su andature, comportamenti ed accortezze da utilizzare in barca, soprattutto ai meno esperti di noi.
In una splendida giornata di sole, bordeggiando tra l’isola del Tino e la Palmaria, annusando l’aria come segugi e rincorrendo i refoli di vento si fa conoscenza, ognuno di noi condividendo la propria personalità e la propria esperienza.
In questo senso la barca a vela è una scuola di vita, accorgendosi che si è responsabili l’uno dell’altro e che ogni membro dell’equipaggio ha la sua importanza e la sua funzione: in un contesto simile si crea un indubbio legame che accomuna le persone, anche se prima di salire in barca non si conoscono.
Tutti noi velisti (o aspiranti tali) sappiamo di che natura è fatto tale legame, che si intravede negli occhi di qualsiasi appassionato: l’indescrivibile emozione di essere in mezzo al mare, lontano da tutto, come in un sogno ad occhi aperti, a misurar sé stessi col vento. Ed è quello che abbiamo condiviso, per quanto possibile, nelle scorribande con il Sun Odissey 43 guardando sempre un quarto di miglio più avanti affamati di vento; tanto affamati che, ad un certo punto, abbiamo dovuto ricorrere a Luigi che, con il mezzo marinaio, si improvvisava “tangone umano” tenendo aperto il genoa dall’angolo di bugna.
E fu così che, con un po’ di ironia ed una buona dose di sfacciataggine, ci siamo creati il nostro zoo virtuale a bordo: amantiglio, mammifero insettivoro delle paludi dell’Orinoco; banzigo, canide selvatico degli altipiani dell’Africa sub-sahariana; tambucio, marsupiale arboricolo delle foreste temperate australiane; ed infine la tuga, danza cerimoniale dei mongoli della Kamchatka.
E mentre la barca si avviava verso l’approdo ed il sole tramontava dietro la punta di Portovenere abbiamo continuato a farneticare allegramente del più e del meno.
Ma l’apoteosi si è raggiunta la sera davanti ad un buon piatto di linguine alle vongole e l’immancabile vino bianco, con i racconti delle avventure di Marco: avete mai visto dei giapponesi in delirio uscire dalla Grotta Azzurra cantando ’O sole mio? Ebbene, di queste ed altre avventure in paesi esotici, a contatto con seducenti danzatrici del ventre, ci siamo deliziati per tutta la sera, prima del giusto riposo. Al mattino dopo ci hanno raggiunto anche Margherita ed Alessandro unendosi all’allegra brigata e portandoci un po’ dell’agognato vento, tanto sospirato il giorno prima. Ora che eravamo più impegnati nelle manovre di bordo il divertimento stava tutto nel far scorrere dolcemente il SO 43 sull’acqua che, nonostante la mole, rispondeva docilmente ai comandi che, a turno, ognuno di noi impartiva alla barca e all’equipaggio. Particolarmente interessante si è rivelata l’andatura di poppa, con le vele “a farfalla”, da governare con continui piccoli aggiustamenti di rotta verso la vela rifiutante denominati “pisciatine” come il buon Luigi ha rammentato dai suoi trascorsi al Centro Velico di Caprera.
Ma, come dice un antico adagio, tutto ciò che è bello dura troppo poco, per cui la fine della giornata ci ha accolto stanchi ma indomiti, lasciandoci ancora di più con una voglia di vela.

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