Che storia, ragazzi!
Anzi, che sballo! Non credo che qualcuno di voi abbia mai provato la sensazione di pranzare in barca a Portofino, ormeggiati al molo del porto, senza una barca intorno: no, dico, una barca! Ebbene, questo è solo il top della crociera organizzata dal capo Stach con i fidi Lorenzo e Paola, ovviamente con me e Gessica come zavorra.
.Ma andiamo per ordine.
Nonostante le burrascose previsioni abbiamo incontrato tre giorni buoni, di cui uno addirittura con vento “quasi” a 20 nodi
Il nostro itinerario si è snodato attraverso la costa ligure di ponente, con affascinanti scorci delle Cinque Terre che, dal mare, sembrano irreali, tanta è la maestosità con cui si staccano dal mare: paesini abbarbicati sulle rocce, dall’urbanistica improbabile, apparivano improvvisamente dietro ai costoni come dipinti su una tela, il tutto illuminato da sprazzi di sole che, facendo capolino tra le nuvole, irraggiava in sequenza i gruppi di case, come la luce di uno spot durante un concerto. Beh, non vi sembrerà vero, eppure sei ore da Porto Lotti a Rapallo (purtroppo a motore per la scarsità di vento) davanti ad un panorama simile sono letteralmente volate via, forse anche a motivo del prelibato soffritto a base di aglio e cipolla, tagliati fini fini, che Lorenzo ha pensato bene di preparare per i vuoti stomaci dell’equipaggio. E così, con una serata primaverile da infradito, il primo giorno se n’è andato, passeggiando per i vicoli di Rapallo in un’atmosfera di festa a preannunciare il capodanno imminente: ovviamente mangiata di pesce in locale tipico, come da manuale del perfetto navigatore. Il secondo giorno, ringalluzziti dal piacevole soggiorno serale puntiamo verso Portofino, per vedere questo gioiello della riviera ligure: all’entrata del porticciolo che, come ben sapete, è alla base di una piccola ma profonda insenatura, vediamo partire il traghetto e, con nostro sommo stupore, nemmeno una barca attraccata al molo e solo tre (dico tre) barche al gavitello che, sonnecchiando, si facevano cullare da un mare quasi calmo. A quel punto Stach ebbe la geniale idea di chiedere ai due marinaretti del locale ufficio della Capitaneria di Porto, direttamente dalla barca, se potevamo ormeggiare al molo di attracco del traghetto. Detto: fatto. Accompagnati dallo sguardo attonito dei (pochi) turisti in piazzetta abbiamo ormeggiato all’inglese e siamo scesi come alieni su un altro pianeta. Per favorire l’appetito non ci voleva altro che una romantica passeggiata sulle colline intorno, fino alla spiaggia di Paraggi, ovviamente deserta data la stagione, e tornare giusto in tempo per allestire in pozzetto un pranzo al sacco a base di prosciutto, formaggio e greppole mantovane, sempre seguiti dagli sguardi sorpresi dei visitatori che ci guardavano con malcelata invidia. Ma non si fa in tempo ad assaporare un’emozione che il destino ne prepara un’altra e, finalmente, si alza il vento ad indicarci la rotta ed allora, via di bolina con l’Oceanis 43 che, con la sua silhouette un po’ panciuta, ci ha fatto divertire per almeno un paio d’ore. Verso sera si punta su Sestri Levante per l’approdo, ma veniamo accolti da un porto male in arnese, senza moli, dotato di scalcagnati gavitelli alla rinfusa. Che fare? Cambio rotta verso la vicina Lavagna dove, stavolta, possiamo usufruire di un grande ed attrezzato porto (nonché carissimo) dove ci fanno accomodare all’inglese. Cena alla dinette ed esplorazione del paese: sorprendenti gli alberi di arance con frutti maturi (come, d’altronde, a Portofino), l’aria frizzante ed una basilica maestosa ed illuminata a giorno che ha attirato la nostra attenzione, Si torna in cuccetta per un sonno ristoratore: infatti, il giorno dopo, ci avrebbe aspettato un rientro a motore, data la scarsità di vento, ed una fastidiosa onda lunga che ha messo a dura prova gli stomaci dei meno allenati, vedi il sottoscritto che, complice lo splendido panorama delle Cinque Terre al ritorno, ha resistito eroicamente fino a Portovenere, per poi esibirsi in una poco edificante performance ai piedi delle mura della Chiesa di San Pietro, sotto lo sguardo perplesso dei turisti affacciati. Ma ci vuol ben altro per fiaccare l’indomita fibra dell’aspirante marinaio, per cui, dopo avere sconfitto la maledizione della mano che calma qualunque vento, alla prossima occasione affronterò i marosi con sguardo impavido e, possibilmente, stomaco fermo.
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